Mia figlia è stata la più forte

Sono la mamma di una ragazza di 17 anni con una sordità bilaterale profonda acquisita all’età di 3 anni, età in cui, a causa del battere Emofilus Influentiae, ha contratto la meningite. Il conseguente ricovero ospedaliero è durato circa 28 giorni, ma è stato solo poco prima delle dimissioni che ho cominciato ad accorgermi che mia figlia non rispondeva alle mie domande. Prima non era possibile rendersene conto perchè era sempre in uno stato di torpore per cui non reagiva a nessuno stimolo. Gli accertamenti che sono seguiti, su mia indicazione ai medici, hanno evidenziato la sordità profonda. Alle dimissioni, nell’arco di una settimana, la bambina è stata protesizzata con apparecchi acustici retroauricolari e subito inserita in un programma di terapia logopedica intensivo (4 volte alla settimana).

L’impatto con la malattia è stato traumatico per tutta la famiglia ma ognuno di noi ha reagito in modo diverso: i nonni si disperavano, mio marito era come paralizzato da un peso che non riusciva a sopportare per cui cercava in qualche modo di non pensarci standone al di fuori, io sentivo la necessità assoluta di fare qualcosa, di sapere tutto, di informarmi, di cercare tutti i modi possibili per aiutare mia figlia ad affrontare questa nuova condizione.
E lei è stata la più forte: non si è mai disperata, ha sempre accettato i vari e numerosi controlli, esami, terapie e la nostre ansie.
Ogni volta le spiegavo cosa le avrebbero fatto e le stavo vicina cercando di rassicurarla.
A parte i primi mesi di chiusura nella comunicazione con gli altri, dovuta al fatto sia che si rendeva conto che non li capiva e che non la capivano più, per cui cercava la mia mediazione, ma anche di rifiuto ad ascoltare attraverso le protesi acustiche che non le fornivano informazioni per lei  riconoscibili, mia figlia è sempre stata ed è tutt’ora aperta, serena, socievole.

Come mamma, le prime domande che mi sono posta quando mi è stata comunicata la diagnosi di sordità sono state:

– come diventerà mia figlia o meglio, come io voglio che diventi
– che cosa posso fare per aiutarla.

Devo dire che ho reagito molto presto alla batosta ricevuta, attivando tutte le risorse, capacità e supporti di tipo specialisto che fortunatamente avevo a disposizione grazie al mio ambito lavorativo (socio – sanitario).

Alla prima domanda mi sono risposta:

voglio che resti com’è, che non perda il suo linguaggio, la sua competenza linguistica, la sua voce, la capacità di comunicare correttamente e che continui su questa strada.
Avevo ben chiaro cosa volesse dire sordo e anche sordomuti. Li avevo conosciuti in passato, là dove andavamo d’estate a fare vacanza, e sapevo che il loro problema non era tanto capire, ma farsi capire dagli altri: fare i conti con l’insofferenza, la poca disponibilità ad entrare in comunicazione facendo "fatica",  sforzandosi di comprendere un linguaggio mal articolato e poco intelleggibile. Avevo letto sui loro volti la frustrazione che col tempo porta a ritirarsi, a rinunciare, quindi all’isolamento sociale, al relazionarsi con una ristretta cerchia di persone che li conoscono bene o soltanto con chi ha le stesse difficoltà.

Alla seconda domanda mi sono subito detta:

no alla delega di mia figlia ai tecnici e ai medici. Voglio essere in prima linea con lei, voglio capire, costruirmi una competenza, voglio delle risposte chiare ai miei dubbi, voglio poter scegliere con cognizione di causa e quando questo non mi veniva dato, cercavo altrove.

Così sono anche approdata all’Associazione delle Famiglie del mio territorio e di cui faccio parte tutt’ora; per me  è stato importante incontrare altri genitori con cui condividere la mia esperienza, confrontare le decisioni, scambiare le informazioni, perchè è anche un modo di uscire dall’isolamento.
In questi anni l’Associazione ha organizzato convegni, corsi, ha fornito informazioni, ha tenuto regolarmente rapporti con le istituzioni stimolando sempre il confronto. Tutto ciò è molto importante per allargare il campo di intervento  e anche la visione del problema della sordità infantile che non ha e non deve avere soltanto una valenza sanitaria. Il confronto è quindi fondamentale e il ruolo dell’Associazione in questo senso è molto importante.

Così come è importante che i genitori sappiano fin da subito che è possibile ottenere risultati molto soddisfacenti ma che occorre un impegno costante e corposo da parte della famiglia.

Spesso mi sono chiesta: "dove voglio arrivare con mia figlia" e la risposta è sempre stata:
il più in alto possibile.

Per questo motivo ho anche deciso di chiedere il part-time al lavoro anche se è stato difficile, perchè temevo che economicamente avremmo potuto trovarci in difficoltà: quando ci sono problemi non si sa mai quali costi si dovranno affrontare sia per la terapia logopedica che, dopo l’esperienza presso la struttura pubblica,  avevamo deciso di fare privatamente, sia per le protesi acustiche che non vengono totalmente rimborsate dalla Regione. Ma poichè ritenevamo importante e indispensabile la mia presenza costante accanto alla bambina,  in accordo con mio marito abbiamo optato per il part-time, in quanto eravamo convinti che non si possono dare i ritagli di tempo ai nostri figli; occorre molta disponibilità, attenzione, pazienza per entrare correttamente in comunicazione  con loro e spesso si deve attendere il momento giusto per esercitare il linguaggio, perchè quando sono piccoli non è possibile imporre le cose. Bisogna trovare strategie nel quotidiano, sfruttare le situazioni spontanee per non farli sentire sempre sotto osservazione e questo richiede tempo.
Sicuramente è fondamentale una buona rieducazione logopedica ed infatti anche in questo ambito ho voluto scegliere e ho fatto una formazione personale accostandomi ai vari approcci e cercando di conoscerne i presupposti teorici e pedagogici individuando e scegliendo poi quella pedagogia che a mio avviso rispondeva alle mie aspettative, che mi dava le risposte che volevo sentire.
L’apertura alla conoscenza di diverse metodologie mi ha consentito di capire come intervenire al meglio per favorire l’evoluzione della competenza linguistica soprattutto a livello fonetico, ma mi ha dato anche molti spunti e suggerimenti per capire come dovevo muovermi nel quotidiano, perchè questi bambini non devono sentirsi costantemente in una situazione di apprendimento/terapia, devono poter imparare il più spontaneamente possibile; questo un genitore lo deve sapere e deve studiare e inventare tutte quelle strategie che permettono al bambino di imparare, ampliare, correggere il linguaggio senza sapere che lo sta facendo.

Come?

Per esempio mentre cucinavo, stiravo, lavavo, giocavo con lei, la coinvolgevo in un dialogo costante, in cui di volta in volta stavo  attenta ad inserire nuove parole, sinonimi, ripetevo le sue frasi scarne o imprecise ampliandole e correggendole, utilizzavo tutte le forme dei verbi in modo che entrassero nell’uso comune, la invitavo  a ripetere quando coglievo la sua disponibilità  a farlo o lasciavo perdere quando mi accorgevo che era stanca o insofferente…, leggevo molto con lei: dai libri più semplici pieni di immagini e illustrazioni a quelli più ricchi e sempre più complessi ….

Tutto questo a lei  è sembrato "normale". Siamo noi genitori che ne siamo coscienti, che sappiamo l’impegno che tutto questo ci ha comportato, ma oggi posso dire che è servito, che rifarei tutto quel che ho fatto, perchè i risultati ci sono, sono davanti agli occhi di chiunque incontri e conosca mia figlia: quale migliore soddisfazione, come madre, potrei desiderare!

Non mi sono mai stancata di rispondere alle sue domande e farla partecipare a tutto quello che succedeva; lei ha sempre chiesto tantissimo, ha sempre voluto e vuole  essere messa al corrente di tutto ciò che avviene sia in casa, sia all’esterno, vuole notizie, vuole sapere delle telefonate ecc., non vuole essere tagliata fuori e se ha la sensazione che facciamo questo si arrabbia e protesta apertamente.

Ho  mediato con tutte le agenzie scolastiche – educative, sociali, del tempo libero, sportive ecc., per far circolare le informazioni, favorire la relazione con lei, spiegando come si deve comunicare, quali sono le difficoltà e le strategie: creare i contatti tra i terapisti e la scuola è stato imporante per la riuscita dell’integrazione scolastica.
Ogni volta che coglievo che lei era in difficoltà, intervenivo. Oggi cerco di farlo in modo meno diretto proponendo a lei di farlo  magari discutendone prima con lei, dandole indicazioni e consigli su come fare, ma spingendola a gestire in prima persona le sue difficoltà.
Ho puntato molto su una sempre maggiore autonomia; volevo che lei imparasse a superare da sola le difficoltà, che diventasse grande e matura, che si rendesse conto di sè, dei suoi limiti ma anche delle sue risorse.
Ho rinforzato la sua autostima affinchè sapesse di potercela fare ma l’ho rassicurata sul fatto che noi genitori saremmo stati al suo fianco.

Vorrei anche ricordare l’importante ruolo che hanno avuto glia altri componenti della famiglia nella nostra storia.

Mio marito, come ho già detto, ha reagito bloccandosi, stava male ogni volta che gli parlavo della terapia, non riusciva a coinvolgersi, ma aveva fiducia in me e nelle mie scelte e mi lasciava fare. A lungo io, soprattutto negli anni più difficili, soffrivo per questo suo starne fuori. Oggi però ho rivalutato il suo ruolo. Per la famiglia  è stato "la valvola di sfogo": per me, perchè mi era sempre comunque vicino nei momenti di crisi, negli sfoghi di rabbia (ed era tanta quella che dovevo smaltire), ma anche per nostra figlia perchè il papà era sempre allegro, scherzoso, la faceva divertire, giocava tanto con lei, le permetteva di scaricare le tensioni. Ora posso dire che se anche lui avesse assunto le mie stesse modalità  per lei sarebbe stata una pressione eccessiva che a lungo andare avrebbe potuto danneggiarla.
C’è anche il mio secondo bambino che è arrivato quando lei aveva 8 anni. Abbiamo aspettato perchè temevamo che un altro figlio  avrebbe potuto distogliere le nostre energie e attenzioni dai bisogni dell’altra. Il fratellino è stata una benedizione.
Esserle "meno addosso"  perchè c’era un neonato da accudire, essere meno concentrati su quello che faceva, dovendo per forza distribuire l’attenzione e il tempo, l’ha fatta sentire più libera, rilassata, è diventata più autonoma, indipendente, ha dovuto sperimentare le sue capacità senza la nostra continua mediazione, le ha permesso "il salto dal nido".
Il fratello, da parte sua, è diventato bravissimo a comunicare con lei, è cresciuto in un certo clima e ha subito imparato, mentre lui stesso imparava a parlare, come si doveva comunicare con sua sorella, ma in un modo così spontaneo come  nessun adulto sa fare.
E’ attento, la guarda sempre quando le parla, richiama la sua attenzione prima di iniziare a parlare, le spiega o le ripete cose che non ha capito bene, le racconta i dialoghi dei films,  il tutto senza forzature e senza che nessuno gliel’abbia mai chiesto.

Per concludere: la strada è lunga, l’impegno è molto, soprattutto per i bambini che incominciano presto a scoprire la durezza della vita, ma questa strada io e mia figlia l’abbiamo percorsa insieme ed  io ho imparato tanto da lei: la sua forza, la sua determinazione!  non si fa abbattere, affronta la vita serenamente, ha un bellissimo carattere, e credo che valga la pena, sapendo che i risultati possono essere così buoni, di non perdersi un’occasione di crescita e di condivisione tanto ricca al fianco dei nostri figli.