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“Il diritto di esistere nella diversità e unicità: chiamateci per nome!”

Chiamatemi per nome
Non voglio più essere conosciuto per ciò che non ho
Ma per quello che sono: una persona come tante altre.
Chiamatemi per nome
Anch’io ho un volto, un sorriso, un pianto,
una gioia da condividere.
Anch’io ho pensieri, fantasia, voglia di volare.
Chiamatemi per nome
Non più portatore di handicap, disabile,
handicappato, cieco, sordo, cerebroleso, spastico,
tetraplegico.
Forse usate chiamare gli altri:
“portatore di occhi castani” oppure “inabile a cantare”?
O ancora “miope e presbite”?
Per favore: abbiate il coraggio della novità.
Abbiate occhi nuovi per scoprire che, prima di tutto,
io “sono”.

“Chiamatemi per nome “ è l’appello di un papà, scritto pensando a Benedetta, sua figlia, che con la sua disabilità gli ha rivelato un mondo nuovo ricco di tesori preziosi che vuole  condividere con gli altri. E’ l’appello affinché tutti possano guardare ai bambini e alle tante persone con disabilità con gli occhi e il cuore dei loro genitori perchè, proprio loro, i genitori,
che vivono l’esperienza quotidiana con i figli, al pari di tutti i genitori, li considerano prima di tutto per quello che sono:   bambini, ragazzi, giovani, come tutti gli altri che chiedono di vivere e partecipare alla vita anche quando non hanno parole per dirlo. Ho trovato questa poesia all’interno di un libro ricco di tante testimonianze di genitori con figli con disabilità ma anche ricco di testimonianze di fratelli e sorelle, di amici e compagni della loro vita quotidiana. Il libro, “Conoscere l’handicap, riconoscere la persona: la Pedagogia dei genitori” (edito nel 2006) è frutto di un lavoro di ricerca a livello europeo che si è concluso nel 2004 e che è parte di quella rivoluzione culturale che ormai è in atto da molti anni: quella di costruire una nuova immagine delle persone con disabilità che ancor prima della loro disabilità sono appunto persone. E’ riconoscendo il loro essere persona che possiamo garantire la loro integrazione. Oggi abbiamo anche nuovi strumenti che vanno in questa direzione:
alle Nazioni Unite è stata firmata nel dicembre scorso la Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità, la prima grande convenzione sui diritti umani delle persone con disabilità del terzo millennio, di cui voglio ricordare i principi espressi nell’articolo 3:

rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone

la non discriminazione

la piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società

il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa

le parità di opportunità

l’accessibilità

la parità tra uomini e donne

il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei bambini con disabilità e il rispetto per il diritto dei bambini con disabilità a preservare la propria identità

e poi un altro strumento importante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità alla cui realizzazione ha partecipato anche l’Italia: l’ICF – la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Salute e della Disabilità che riguarda sia gli adulti ed ora anche i bambini e gli adolescenti e che non si riferisce alle persone con disabilità ma a tutte le persone perchè ciascuno di noi nell’arco della sua vita può attraversare periodi più o meno lunghi di disabilità: un’esperienza che non riguarda solo il singolo ma coinvolge tutta la comunità;
un’esperienza che ci offre l’opportunità di riflettere sulla dimensione del limite, sulla nostra fragilità e le nostre debolezze, che ci richiama al nostro essere mortali e dunque ci richiama al senso profondo della nostra umanità, al valore della nostra vita e della vita in generale. E’ allora che comprendiamo più chiaramente che “ciò che è importante è invisibile agli occhi!

Con l’ICF, la disabilità viene definita come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui l’individuo vive. Ambienti diversi possono avere un impatto molto diverso sullo stesso individuo con una certa condizione di salute: un ambiente con barriere o senza facilitatori limiterà le azioni di un individuo; ambienti facilitanti potranno invece favorirle.
La società può dunque ostacolare la vita di un individuo sia creando delle barriere ma anche non fornendo facilitatori.

Star bene, il ben – essere, in famiglia e fuori dalle mura domestiche, non è affare che riguarda solo il singolo ma è un bene “pubblico” meritevole di ampia e costante tutela, indispensabile al progresso della collettività.

Il progetto della Pedagogia dei genitori non solo ri-conosce la persona ma oltre a riconoscere ai genitori il ruolo di educatori verso i propri figli, nell’ambito della propria casa, lo riconosce anche nei confronti di quelle figure professionali che partecipano ad un Progetto particolare che è quello della crescita di un individuo le cui capacità sono spesso sopite o hanno bisogno di essere adeguatamente svelate agli altri. C’è chi vive la disabilità sulla propria pelle o sulla pelle di un proprio familiare e poi ci sono le figure professionali che spesso la vivono solo dall’esterno. E ci sono anche professionisti che con – vivono con la disabilità propria o di un proprio familiare e coniugano il sapere esperto con il sapere dell’esperienza. Genitori anche come formatori, attraverso la Pedagogia dei Genitori, mettono a disposizione degli operatori la loro esperienza e competenza attraverso lo strumento della “narrazione”. Anche le testimonianze che ascoltiamo oggi sono narrazioni da cui apprendere molto. Il progetto, nell’ambito delle politiche comunitarie per l’educazione permanente e continuativa, ha realizzato una rete europea di insegnamento e apprendimento costituita da genitori con figli con disabilità e difficoltà, ha raccolto e diffuso testimonianze per migliorare le azioni sociali e sanitarie, ha promosso il riconoscimento della dignità dell’azione pedagogica dei genitori come  esperti educativi nella formazione, alla pari di altri operatori.

Si vuole costruire dunque un’immagine nuova della persona con disabilità, l’immagine  di una persona che come tale ha innanzi tutto bisogni “normali” prima ancora che quelli speciali e di riabilitazione.
Dalle molte testimonianze risulta  che i genitori non sono persone oppresse dalla disperazione. Sono genitori che dopo una fase di iniziale smarrimento, disorientamento, dolore, angoscia, che sono le normali reazioni agli eventi traumatici che ciascuno prima o poi  sperimenta nel corso della vita, di fronte ad oggettive difficoltà, sanno mettersi in movimento, fortificando la loro genitorialità. Spesso hanno sperimentato la crudezza di diagnosi che non lasciavano speranza e hanno ricevuto indicazioni che rimarcavano solo limiti.
Di fronte ad affermazioni del tipo: “suo figlio è un vegetale non sarà mai in grado di  … non può, non è capace, …. “non riuscirà a parlare e non riuscirà a stare seduto…” “ da grande potrebbe fare solo …” hanno continuato il loro cammino rafforzando la loro fiducia per credere in un futuro di possibilità.
Dove trovano i genitori forza e coraggio?
Proprio nel loro essere “genitori” perchè è proprio nella genitorialità che si trovano le componenti della responsabilità, di avere messo al mondo un bambino e di educarlo, dell’impegno ad esserci per la vita come punto stabile di riferimento in primo luogo affettivo, della fiducia e della speranza.

I genitori non possono dimettere i loro figli.

E poi c’è l’identità che si costruisce a partire dalle relazioni affettive più significative. “Ogni scarrafone è bello a mamma sua”. I genitori che mettono al mondo un bambino sentono di avere una missione che nessun altro può compiere al loro posto. Dal loro prendersi cura dipenderà anche quel senso di autostima e sicurezza che consente poi di affrontare le avversità della vita. I loro percorsi educativi mostrano che manuali o ricerche teoriche danno spesso indicazioni generiche … mentre è necessario conoscere la situazione specifica di ogni bambino perchè ogni bambino è diverso e unico. “ … siamo convinti che con l’affetto, l’impegno e la preparazione si possono ottenere buoni risultati” dice una mamma. La speranza e la fiducia nel figlio, l’apertura alla vita e alla “possibilità” che sono elementi naturali e forti dell’essere genitori, possono permettere di raggiungere traguardi che a volte gli esperti non avrebbero mai immaginato. Mi vengono in mente numerosi esempi di adulti che hanno raggiunto una piena integrazione di sè….  nonostante e al di là della disabilità stanno bene e sono protagonisti della loro vita.
Qualcuno poi, da protagonista, si è posto come vero e proprio strumento educativo. E penso al Progetto Calamaio, un’iniziativa che ha ormai vent’anni di cui Claudio Imprudente è stato promotore (giornalista, scrittore, presidente del Centro Documentazione Handicap di Bologna – punto di riferimento a livello nazionale). Lui che affetto da tetraparesi spastica, non autonomo nella deambulazione e nella comunicazione all’età di 27 anni ( nel 1987 ) scriveva:

“ … ma siamo proprio sicuri che l’handicap sia uno svantaggio? … l’handicap non può essere uno svantaggio perchè ha molte risorse tanto da poter essere paragonato ad una miniera d’oro … sì, l’handicap è una realtà dentro la quale c’è sicuramente qualcosa di prezioso da scoprire e da sfruttare ma qui sorge il problema. La miniera per essere sfruttata bisogna che sia considerata tale: una  fonte di ricchezza e non un letamaio.Ogni persona con handicap deve trovare fiducia prima di tutto in sè, cioè deve convincersi di essere una preziosa miniera. Credere nelle proprie potenzialità è questione che riguarda tutti gli esseri umani.La stima di sè è il primo passo contro l’emarginazione. Bisogna credere in se stessi e prendere coscienza delle proprie risorse, spostare lo sguardo da quello che si ha, che si possiede, a quello che si è.Di solito la persona si apprezza per quello che possiede, per quello che produce, per il posto che occupa nel campo lavorativo… ma quando si riconoscono i propri limiti, le proprie fragilità e non si ha timore di mostrarsi agli altri per quello che si è, nella propria umanità, allora si è veri.  E occorre grande verità per apprezzare la persona per quello che è…. “

Lui decise di esporsi in prima persona per rompere lo stereotipo che l’handicap fosse = malattia = sofferenza = limite = impossibilità. E ci è riuscito.

Tutte le nostre vite sono in potenza un serbatoio formidabile di quel sapere dell’esperienza che è sempre fonte di arricchimento per chi, Per chi? Per chi  è disponibile ad accogliere l’altro ed entrare in dialogo con l’altro, specialmente con chi vive un’esperienza così diversa e di solito così distante, conoscendolo e riconoscendolo nella sua umanità. L’incontro con l’altro passa sempre attraverso il filtro dello sguardo interno che è  frutto di un percorso non solo del singolo ma si rivela collegato fortemente alle strutture sociali e storiche dentro cui viviamo.
Lo sguardo interno, il filtro con cui guardiamo, è anche frutto della cultura.
Tu come mi guardi? Tu cosa vedi? Tu che immagini hai dentro?
Immaginare una persona con disabilità come perennemente dipendente, soltanto bisognosa di cure e di assistenza, allontana anche la possibilità di proiettarla avanti nel tempo, in un’età adulta, in un contesto di autonomia possibile, e rende meno immaginabili e praticabili le azioni che potrebbero rendere concrete queste possibilità.
Il pensiero che si ferma ad un orizzonte limitato, che non sa pensare le persone come capaci di evolvere, determina anche l’impiego di azioni e progetti limitati, frazionati e scollegati, produce un impoverimento dell’esplorazione di possibilità e le rende meno attuabili. E questo può succedere più frequentemente se non si ha esperienza di incontro e conoscenza diretta delle persone per le quali si delineano ipotesi di intervento e proposte di percorsi operativi.
Conoscere le persone con disabilità, le loro vite, le loro storie, incontrarle riconoscendo loro un ruolo sociale non può che accrescere il senso di appartenenza e partecipazione sociale, in un lavorio continuo per un mondo di pace.
Siamo tutti membri della stessa famiglia umana. Questo è un altra affermazione importante che ritroviamo nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Per la prima volta veniva scritto e condiviso che esistono diritti di cui ogni persona deve poter godere per la sola ragione di essere al mondo.
“Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

come isole nel mare siamo separate soltanto in superficie ma è sott’acqua che si rivela la nostra natura: congiunte nel profondo siamo parti di un’unica terra”

Questa frase di apertura la potete trovare nel sito che ho realizzato con la collaborazione di una preziosa amica, lei stessa con disabilità. Il sito si chiama Arcipelago Sordità ma si occupa anche dell’arcipelago più grande della diversità. Ad uno sguardo in superficie il mare appare cosparso di isole ma noi, siamo isole? siamo isolati gli uni dagli altri? E quando sperimentiamo il senso di isolamento?
Ci sentiamo isolati proprio quando si spezza quel senso di appartenenza che ci faceva sentire uguali, normali, parte della società … la disabilità propria o di un figlio è una battuta d’arresto ad un processo evolutivo che obbliga a rivedere il percorso …

Alla ricerca del proprio benessere, nell’incontro con la malattia, la sofferenza e il dolore gli esseri umani hanno una grande opportunità:
scoprire il senso vero della vita, di ciò che conta … e per i genitori di Fabio  “ oggi Fabio ha 29 anni, un uomo con la faccia da bambino, buon carattere, che si fa voler bene dagli altri e soprattutto è sereno”.

Solo se andiamo nel profondo possiamo scoprire che quelle che in superficie sono isole senza collegamenti apparenti, sott’acqua sono invece congiunte. Nel profondo c’è un universo di connessioni e le isole fanno capo ad una matrice comune: l’umanità è una sola e si manifesta nell’insieme delle individualità realizzate nella loro rispettiva integrità e al contempo valorizzate nella loro reciproca integrazione.

Diversità e unicità, due parole che si collegano anche alla creatività, alla creazione: il mondo è fatto di diversità. Basta osservarlo, guardarlo ma bisogna rallentare, andare piano, fermarsi, mettersi in ascolto, senza giudizi né pregiudizi … allora … dare valore alla persona con disabilità, dare valore al lavoro svolto dai genitori è fare emergere come ogni persona ha una storia e una dignità unica, irripetibile; è risvegliare la genitorialità in altre persone e negli operatori quella componente essenziale della professionalità che è la dimensione umana. Le narrazioni raccontano di persone e di vita e di percorsi, progetti, delusioni, gioie, conquiste, battaglie, rabbia ma anche amore, solidarietà, fantasia. Un essere umano non può realizzare se stesso in solitudine.
L’essere umano è per sua natura un essere sociale e ciascuno ha bisogno di un altro per acquisire consapevolezza di sè e della propria alterità che è diversità e unicità.
Per questo i genitori non smettono mai di fare la loro parte:
Chi crede nel bambino, nelle sue possibilità?
Chi gli dà fiducia?
Chi lo sostiene e lo incoraggia?
Chi lo accompagna nella vita?
Sono sempre i genitori, i suoi preziosi alleati. E tutti quelli che con loro gli credono. Loro sono consapevoli che il cammino sarebbe meno faticoso se fossero sostenuti dalla solidarietà e dalla collaborazione di tutti:

“ … Un raggio di luce sembrò squarciarci le tenebre quando Cris fu accettato alla Nostra Famiglia … in quell’ambiente non percepivamo diffidenza o distacco dalla gente ma solidarietà e condivisione delle problematiche. Ci scrollammo di dosso quel pesante senso di impotenza che gravava sulle nostre spalle e riuscimmo quasi ad accettare la nostra situazione..”

I genitori sanno che una rete sociale è in grado di promuovere la partecipazione e lottano per costruire legami di solidarietà così spesso si fanno promotori di associazioni …

“ … fortunatamente nel frattempo stava nascendo l’AFPD, voluta da alcuni genitori fra cui noi … (Daniela e Cleris) “

Di fronte alla sofferenza la società dovrebbe stringersi a sostegno … ma la sofferenza fa paura e spesso crea distanze e barriere ma …

 “durante questi anni spesso ci siamo sentiti abbandonati anche da diversi amici, forse poco sensibili o impauriti ma .. poco importa, grazie a lui (Fabio), ne abbiamo conosciuti molti, molti altri”

Di fronte all’evidenza della disabilità che non si può negare, i genitori rivendicano la sostanziale integrità del figlio, figlio che come tutti ha in sè la spinta per crescere ed evolvere

… Cris aveva un desiderio: imparare a scrivere! … ricordo il grande sorriso di soddisfazione quando ci portò a casa il suo primo foglietto scritto a macchina …
chi infatti non conosce l’infinita dolcezza che questi ragazzi sanno dare a chi li ama?”

Le narrazioni non sono scritte per commuovere  ma per “muovere”: muovere le coscienze di chi ha in mano gli strumenti legislativi, di coloro che spesso si limitano all’esteriorità, di quelli che pur potendo agire si limitano solo a constatate che le cose non vanno, di tutte quelle persone che preferiscono non essere coinvolte e continuano così a identificare la persona per quello che ha e non per quello che è.
Le narrazioni sono uno strumento di condivisione ed anche un ringraziamento per quanti si spendono per le persone con disabilità, per quelli che scommettono sulle loro capacità, che si mettono in gioco e che sanno gioire per le piccole conquiste di ogni giorno. Non vi sono istruzioni per l’uso della vita di ciascuno, ogni persona è diversa dall’altra, ogni persona è unica irripetibile.

Grazie per l’ascolto!

 

Relazione tenuta dalla dott.ssa Enrica Rèpaci al Convegno
BEN – ESSERE in famiglia, star bene nonostante e al di là della disabilità
Città di Cassano Magnago con Associazione Famiglie Persone Disabili – AFPD
, Assessorato ai servizi Sociali e Assessorato alla Famiglia, in collaborazione con
Associazione Più di 21 Onlus,
Progetto 98 ed
Associazione Parkinsoniani Insubri
a

Sabato 1 dicembre 2007- Sala Consiliare Villa Oliva