Lev Semenovich Vygotskij
(Bielorussia 1896 – 1934)

Insigne psicologo sovietico, padre della Scuola Storico-Culturale, corrente psicologica da lui fondata in Russia alla fine degli anni ’20 e sviluppata dai suoi studenti e dai suoi seguaci prima in Europa e poi in tutto il mondo, Vygotskij è stato definito il "Mozart della psicologia". Solo negli anni ’60 si è verificata una riscoperta delle sue opere in particolare grazie alla traduzione in inglese di Pensiero e Linguaggio ad opera di Alaksandr Kazulin. Nella prima metà del XX° sec. l’attenzione in Occidente era rivolta soprattutto a Jean Piaget. L’attività di Vygotskij era praticamente sconosciuta … >>>

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Pensiero e Linguaggio

Fondamenti di Difettologia

Pensiero e linguaggio

Poco prima di morire Vygotskij terminò di scrivere l’ultimo capitolo del libro ritenuto il suo capolavoro, Pensiero e linguaggio. Questo libro è il risultato dell’assemblaggio di materiale diverso; le parti teoricamente più importanti e che ancora oggi costituiscono un riferimento concettuale per la ricerca contemporanea, riguardano il rapporto tra pensiero e linguaggio, la relazione tra linguaggio esterno e linguaggio interno, la relazione tra senso e significato. Secondo lui, preliminare ad ogni indagine sul rapporto tra pensiero e linguaggio, come ad ogni indagine psicologica, è la scelta del tipo di analisi. Egli respinge l’analisi che scomponeva gli insiemi psicologici complessi in elementi, perché applicando questa analisi, si perdono, per Vygotskij, le proprietà dell’insieme non corrispondenti alle proprietà dei singoli elementi. Vygotskij sostiene invece, un’analisi basata sulla scomposizione di un insieme unitario di base, in unità componenti. Per Unità Componenti, intende degli elementi che continuano a conservare le medesime proprietà dell’insieme. Ad es. nell’incontro tra pensiero e linguaggio, per cui un contenuto di pensiero è espresso attraverso una parola, l’unità componente che conserva le proprietà dell’insieme rappresentato dal pensiero verbale è individuata da Vygotskij nel significato.

La parola ha un aspetto esterno, quello sonoro, e un aspetto interno, il suo significato, che conduce al contenuto di pensiero che la parola esprime. Il linguaggio è una forma di relazione sociale proprio perché le parole esprimono significati intelligibili per il pensiero di coloro che comunicano. La capacità di pensare, il pensiero come funzione della mente, segue uno sviluppo diverso, è indipendente. Nel bambino, ad un certo punto dello sviluppo, queste due funzioni si intersecano dando luogo ad una funzione, il pensiero verbale, nel quale un pensiero specifico prodotto dal pensiero è espresso dal linguaggio sotto forma di una parola che di quel pensiero specifico trasmette il significato.

Lo sviluppo del pensiero verbale presenta varie tappe, descritte da Jean Piaget, per il quale il linguaggio in età prescolare è un linguaggio egocentrico, manca ancora il pensiero verbale interno. Il linguaggio egocentrico, tappa precedente del linguaggio interno, ha origine dall’incontro tra il pensiero del bambino, un pensiero di tipo autistico che riflette il mondo psichico infantile, e il linguaggio emesso per sé dal bambino stesso. Per Vygotskij, al contrario, il linguaggio ha immediatamente una funzione sociale, interpersonale; in seguito esso diviene strumento di pensiero nella forma silente del linguaggio interno. Nello sviluppo del pensiero verbale si realizza di nuovo il processo già descritto per cui una funzione, il linguaggio sociale, acquisita nella relazione interpsichica, diviene una funzione intrapsichica, linguaggio interno.

Una delle analisi più fini del libro di Vygotskij è quella sulla differenza tra linguaggio esterno e linguaggio interno. Il Linguaggio Interno risulta sostanzialmente diverso dal linguaggio esterno per le sue caratteristiche sintattiche, essendo un linguaggio per sé, esso è abbreviato, frammentato. Un’altra distinzione che caratterizza il linguaggio interno è quella tra Senso e Significato di una parola. Il confine tra senso e significato è sfumato, ma si può dire che il significato di una parola è ciò che è condiviso dalla maggioranza dei parlanti, ciò che una parola significa attenendoci alla definizione data dal vocabolario. Il senso è invece il significato che la parola ha per il parlante, un significato che è noto a lui solo. Nel linguaggio interno il senso prevale sul significato; nel linguaggio esterno invece domina il significato, e ciò è indispensabile affinché abbia luogo una comunicazione. Dalla parola e dai significati condivisi ai significati personali e ai sensi della parola; dal linguaggio al pensiero: il comportamento esterno dipende dunque dal mondo psichico interno. Tuttavia, dietro al piano del pensiero vi è, per Vygotskij, il mondo degli affetti, delle emozioni e delle motivazioni. Nell’analisi dei piani interni del pensiero verbale, il pensiero stesso nasce non da un altro pensiero, ma dalla sfera motivazionale della nostra coscienza, che abbraccia i nostri impulsi e le nostre motivazioni, i nostri affetti e le nostre emozioni. Dietro al pensiero vi è una tendenza affettiva e volitiva; una comprensione reale e completa del pensiero altrui è possibile soltanto quando scopriamo il suo retroscena reale, affettivo-volitivo.

(tratto da Wikipedia, clicca QUI)

Fondamenti di Difettologia
prefazione e cura di GUIDO PESCI

Scrive Guido Pesci nella Prefazione: < Questo volume di Lev Semenovic Vygotskij ripropone il problema dei soggetti che, per loro difficoltà fisiche, psichiche e sensoriali, non trovano nella società risposte idonee per una loro reale integrazione… Vygotskij con questa sua opera ci fornisce i fondamenti scientifici, metodologici e sociali che ritiene siano presupposto insostituibile della difettologia, ossia della scienza che si occupa dei sistemi educativi e formativi dei soggetti con alterazioni dello sviluppo psico-fisico e sensoriale … Attualmente l’integrazione viene assai spesso scambiata con una concezione puramente aritmetica della insufficienza, con una educazione condotta su un modulo quantitativo che potremmo definire della sottrazione, poichè vuole ridotte nel numero le proposte didattiche e semplicemente rallentata la loro elaborazione; cosa che è, secondo Vygotskij, testimonianza di un’anarchia pedagogica. Del soggetto con deficit è necessario definire anche le differenze quantitative, ma soffermarsi a questo problema di superficie è da condannare come mero disimpegno dell’educatore, capace solo di adattarsi al deficit anzichè sconfiggerlo, e come un liberarsi da un obbligo, da parte della scuola, che così dimostra di essersi adattata alle carenze del bambino anzichè pronta e capace di battersi contro di esse per superarle e vincerle. Un altro aspetto, anch’esso non meno deludente, per un reale processo di integrazione, è quello di vedere gli addetti ai lavori conformarsi all’opinione comune che l’handicappato è un malato e ritenere perciò che la terapia debba avere nella scuola il diritto di cittadinanza ed essere ritenuta insostituibile impronta a tutto illavoro educativo; pedagogia quindi patologico-terapeutica che ritiene di risolvere con ‘"l’ortopedia psichica" e con la "cultura sensoriale", in termini rozzamente organici, medici, i problemi pedagogici e psicologici e ogni compito educativo. Indispensabile invece è che alla pedagogia-terapeutica, dal suo spirito ospedaliero, dalla sua attenzione scrupolosa alle minnuzie della malattia, sia abolita l’ingenua certezza che la psiche può essere sviluppata, curata, "armonizzata" al difuori dello sviluppo generale e delle "esperienze di comportamento sociale". La pedagogia terapeutica, si legge ne libro di Vygotskij, indirizza solo al separatismo e al silenzio grottesco fino a perdere di vista il confine tra l’ammaestramento e la vera educazione, tra l’educazione e l’"approccio zoologico" del bambino. Una pedagogia che legge e descrive gli organi solo in senso anatomico, incapace di riconoscerli come importanti organi sociali, afferma l’Autore, rischia di vedere nel bambino in difficoltà solo il deficit, solo l’aspetto patologico e non anche l’enorme riserva di salute. Questa alcune tra le tante disattenzioni pedagogiche sulle quali l’Autore si sofferma per incitare a programmi e prospettive mutate. E’ ora infatti, di dare inizioi e mentenere un rapporto educativo strutturato su uno studio dinamico del bambino e perciò capace di permettere di constatare la gravità della disarmonia di sviluppo aggravato dal deficit e di comprendere ogni momento della sua vita trascorsa e le sue esigenze di essere sociale. Si tratta di dover studiare il soggetto non solo come fenomeno organogenetico, ma come bambino socialmente deviatodalla norma, conoscere perciò ogni aspetto sociogenetico e psicogenetico. Significa cioè non studiare il deficit ma il portatore di un certo deficit. … Il bambino il sui sviluppo è aggravato da un deficit è solo un bambino sviluppato in modo diverso e sul quale non gravano solamente le cause organiche ma anche, ed in particolare, la degradazione della posizione sociale, l’anormalità sociale, tanto che possiamo dire che non il deficit in se stesso decide le sorti della personalità ma le sue conseguenze sociali, la sua realizzazione socio-psicologica… Esenziale e doveroso è acquisire culturalmente che (il bambino con deficit) esso è una persona, un bambino come tutti gli altri. Si tratta, bisogna convenire con Vygotskij, di rompere con la staticità biologica e sviluppare una pedagogia positivamente creativa capace di organizzare una scuola di compensazione sociale e di educazione sociale. Una ristrutturazione della scuola su nuovi presupposti da cui siano esclusi la pratica della pedagogia terapeutica, della artificiosità, dell’immiserimento, della composizione, della trasformazione in personalità "socialmente neutre", affinchè l’handicappato non sia un semplice esecutore ma venga incluso nei vari momenti di ordine collettivo e organizzativo. La difettologia trova di fatto risoluzione sul terreno della educazione sociale nel suo insieme, capace quindi di orientarsi sulla normalità e sulla salute agendo come educazione sociale.>