I SOGGETTI AUDIOLESI IN ETA’ EVOLUTIVA IN PROVINCIA DI VARESE
Risultati di un’indagine

Quaderni CEDOC – dicembre 1988 – 2 – ASK Edizioni

Sommario

Presentazione dell’assessore Italo Rosa
Premessa di Antonio Frigerio, direttore CEDOC-Varese
Conclusioni di Enrica Rèpaci, psicologa

Presentazione di Italo Rosa – Assessore Provinciale ai Servizi Sociali – Varese

< Il quadro di conoscenze sulla diffusione dell’handicap, specie nei soggetti giovani – per ovvie ragioni di prevenzione – ha ricevuto in questi ultimi anni un particolare impulso, grazie anche all’interessamento delle Associazioni di volontariato. Pur non avendo ancora raggiunto l’obiettivo di un migliore collegamento tra le 9 USSL della provincia per l’aggiornamento degli studi sul fenomeno e per l’attivazine di un "registro dell’handicap", l’Amministrazione Provinciale di Varese, anche attraverso il CEDOC – Varese, prosegue nel compito di migliorare tali conoscenze in modo da offrire agli organismi ed agli operatori interessati al problema, un ventaglio sempre più vasto e puntuale sull’argomento. Il quaderno che presentiamo è frutto di questo impegno. Con la preziosa collaborazione del CEDOC-Varese e dell’Associazione Famiglie Bambini Ipoacusici della nostra provincia, è stato condotto un sondaggio presso le famiglie dei soggetti audiolesi in età evolutiva, attraverso un questionario-intervista particolarmente analitico, ordinato alla conoscenza del fenomeno in esame. Il materiale ricavato fornisce informazioni molto interessanti sia sugli aspetti medico-diagnostici del fenomeno, sia sui criteri di recupero, rieducazione e protesizzazione dei soggetti colpiti. Risultano molto utili anche le informazioni fornite dalle famiglie sulla "maturità" della società e dell’ambiente sanitario in fatto di diagnosi precoce e di terapia, specie se si tiene conto dei risultati positivi dell’intervento terapeutico in età infantile. ... >

PREMESSA di Antonio Frigerio, direttore CEDOC-Varese

< L’attività di prevenzione della malattia e di assistenza sanitaria e sociale delle persone colpite da qualunque tipo di invalidità, permanente o temporanea, rappresenta il frutto di una maturazine della società moderna, la quale, per altro, può disporre di mezzi e di tecniche fin qui impensati. E’ infatti di recente acquisizione, da parte della nostra società, una nuova e più viva sensibilità verso questi fenomeni e un impegno concreto per la loro soluzione.
Uno dei momenti più importanti di questa fase di intervento è certamente costituito dal lavoro di conoscenza della presenza dei fatti invalidanti e delle loro ripercussioni sui soggetti colpiti, sulle loro famiglie, sulle relazioni di essi con la società.
Tale conoscenza – che in una prima fase si esprime come intuizione verso l’esistenza del fenomeno – va via via migliorando, a misura che gli interventi curativi e riabilitativi producono i loro frutti e a misura che cresce la sensibilità e la cultura sanitaria delle famiglie.
Malgrado la sollecitazione dei falsi problemi espressi dai termini "deistituzionalizzazione" e "riflusso nel privato" – che quasi sempre nascondono la valorizzazione sociale del più forte e del più dotato – l’azione collettiva della conoscenza e dello studio dei fenomeni in parola, sembra avviata a rafforzarsi mentre si costituisce una buona base di dati necessaria per meglio illuminare e descrivere la realtà.
Forse uno sforzo maggiore, soprattutto in temrini di organizzazione e di coordinamento, dovrebbe essere fatto sia dall’Ente Regione che dall’Ente Provincia. Una eccessiva, per alcuni versi anche ingenua, centralizzazione dell’azione conoscitiva operata dalla Regione sulle USSL, non ha certo giovato a condurre l’azine conoscitiva e di studio su piste più disaggregate fino a dimensine comunale. Sarebbe dunque auspicabile per il futuro una politica di maggiore delega agli enti intermedi, pur in presenza di una comune metodologia finalizzata a garantirne la piena confrontabilità.
Ritenere che la disponibilità centralizzata delle informazioni possa costituire un momento di potere da non delegare, significa, a nostro avviso, non capire che l’azione pubblica è per sua stessa natura un servizio, valido solo se viene tempestivamente e sistematicamente messo a disposizione di tutti, anche nel momento della sua stessa produzione. Salvo che non si vogliano ripercorrere percorsi burocratici desueti propri del vecchio apparato statale che sono in contraddizione netta con le dichiarazioni democratiche dei nuovi regimi regionali.

Il tema trattato in questa ricerca è piuttosto nuovo e meritava un’indagine alquanto approfondita, come si è tentato di fare. Lo studio tocca solo marginalmente l’ambito medico e non ha pretese di scientificità in questo campo, anche se i medici specialisti della materia possono trarne utili sollecitazioni scientifiche.
Scopo della ricerca è quello di valutare il grado di attenzione che la società – e il settore della cura della salute in particolare – pone all’analisi del fenomeno e allo sforzo che essa compie per misurare la consistenza e gli effetti. Si tratta piuttosto di un richiamo all’importanza dell’azione di prevenzione della malattia, così importante e ancora così poco praticata dalla medicina italiana e dal sistema sanitario in generale. Se prevenire significa anticipare l’insorgenza del male e valutare con un congruo anticipo le possibilità e i mezzi per combatterlo, allora la prevenzione nel campo della riduzione parziale o totale dell’udito consisterà innnanzitutto nella diagnosi precoce della presenza dei sintomi patologici e nella difesa preventiva dei soggetti sottoposti a rischio. Come la nostra ricerca rileva, l’insorgenza del fenomenoo in oggetto avviene con elevata frequenza in età pre-natale e peri-natale, quando è clinicamente più difficile diagnosticare l’esistenza. In tali circostanze l’attenzione dei genitori è particolarmente importante, anzi indispensabile, al fine di cogliere nel giovanissimo soggetto quei primi dati empirici necessari a far sorgere il dubbio della esistenza del fatto. Da qui l’importanza di un’azione educativa da parte del sevizio sanitario verso i genitori – e in modo particolare verso la madre – i quali avendo uan diuturna dimestichezza con il figlio possono, più di ogni altro, cogliere i sintomi della eventuale presenza dell’handicap.

Lo studio, attraverso un apposito questionario, è stato condotto su soggetti aventi un’età compresa tra 0 e 18 anni, ritenendo che è proprio in questa fascia di età che devono venire affrontati tutti gli interventi necessari per un corretto recupero. Altre forme di sordità si fanno presenti in età superiore ai 18 anni, specialmente le sordità professionali e quelle senili. Esse però costituiscono un capitolo diverso – che potrà essere altrimenti studiato – e comunque non sono riconducibili alla prevenzione della sordità congenita o precoce, sulla quale riteniamo di dover porre l’accento.
La parte centrale della ricerca è rivolta a sviluppare lo studio della sordità nei suoi aspetti socio-sanitari, mostrando l’esistenza, nella realtà, di discrasie tra l’insorgenza del fenomeno e la sua rilevazione sanitaria. E’ per altro verificato che in molti casi il "sospetto di sordità" avanzato dai genitori, anticipa di diversi mesi (e a volte addirittura di qualche anno) l’accertamento da parte degli specialisti e delle loro équipes.
Anche nel settore degli audiolesi emerge dunque l’insostituibilità dell’adozione di prevenzione accompagnata dall’uso delle più moderne tecniche di rilevazione del deficit uditivo, specie quando il fenomeno risulta di difficile diagnosi. E’ questo un campo che le USSL non possono più trascurare e al quale la programmazione sanitaria regionale farà bene a porre la dovuta attenzione.
Iboltre, l’eterogenea distribuzione sul territorio provinciale dei servizi specialistici in questo settore non facilita certo nè la tempestiva informaione alle famiglie nè la precoce diagnosi di fronte all’insorgenza dl fenomeno.
Sembra poi che la politica sanitaria sia più sollecita a rispondere alle malattie che fanno opinione – come ad esempio l’AIDS – che non alle malattie che si sottraggono alla pubblicità, com’è appunto il caso delle varie forme di sordità congenita o acquisita.
Molto opportunamente l’Amministrazine Provinciale di Varese ha recuperato questo tema, ponendosi nei confronti delle USSL della provincia come l’interlocutore più adatto per provocare questo tipo di sensibilizzazione. Resta ovviamente, a completo carico delle USSL, il compito di realizzare tutti quegli interventi puntuali che vanno sotto il nome di medicina preventiva e di medicina curativa.

La ricerca è il frutto congiunto di più competenze ma dobbiamo esprimere un ringraziamento particolare alla Dott.ssa Enrica Repaci Monetti che ha seguito con vivo interesse tutte le fasi della ricerca, dalla invenzione del questionario all’interpretazione dei dati, alla stesura finale del rapporto di sintesi.
Un ringraziamento va altresì all’Associazione Famiglie Bambini Ipoacusici (AFaBI) della provincia di Varese ed a tutte le famiglie intervistate per la piena collaborazione a questa nostra fatica.
Ci auguriamo che il presente "tassello" contribuisca a rendere sempre più chiaro il "mosaico" delle conoscenze relative alla società varesina che, faticosamente, da diversi anni il nostro Centro va conducendo.>

CONCLUSIONI di Enrica Repaci, psicologa:

< Il fenomeno "sordità infantile", soprattutto in quest’ultimo decennio, è stato più volte affrontato anche nella nostra provincia attraverso convegni, seminari, giornate di studio. Esperti qualificati in questo campo hanno portato il loro contributo per una maggiore comprensione di questo problema al fine di creare una rete organizzativa di assistenza e cura dei soggeti affetti da sordità.
Il nostro lavoro si è posto nell’ottica di migliorare la conoscenza del fenomeno illustrando il quadro reale della situazione relativa all’80% degli audiolesi in età evolutiva presenti sul territorio provinciale a livello delle nove U.S.S.L.
La ricerca ha inteso verificare, in concreto, come è stato e viene affrontato il recupero dei soggetti affetti da sordità congenita o acquisita nei primi anni di vita, attraverso una lunga serie di domande concernenti l’iter diagnostico-protesico-riabilitativo, scolastico e lavorativo.
Alcuni dati emersi appaiono confortanti: il numero degli audiolesi è sensibilmente diminuito rispetto alla prima metà degli anni ’70 e questo, non solo per la caduta della natalità in generale, ma sicuramente per l’attività di prevenzione attuata negli anni dagli organismi competenti.
Tale attività ha anche permesso di individuare più precocemente, rispetto al passato, le minorazioni uiditive e quindi di provvedere alla terapia protesico-logopedica nei tempi più vicini all’epoca di insorgenza della lesione.
Ricordiamo però che la diagnosi è precoce se posta nel primo anno di vita perchè in tal modo il bambino protesizzato potrà seguire un percorso educativo simile a quello del bambino normo-udente. Nel caso di ritardi diagnostici invece, e quindi anche protesico-riabilitativi, il recupero dell’audioleso all’integrazione sociale diventa molto più difficile.
Risultati soddisfacenti, a livello di comunicazione verbale, secondo il parere delle famiglie intervistate, esistono solo nel 29,8% dei casi della nostra indagine.
La lesione uditiva non genera necessariamente un soggetto handicappato.
E’ la lesione non curata, in senso lato, che provoca handicap.

Rersta però ancora da fare nell’ambito della risoluzione del problema che abbiamo affrontato. A conclusione di questa ricerca empirica sembra importante evidenziare alcuni interventi che ci sembrano fondamentali.

A livello di prevenzione:
– una maggiore informazione presso l’opinione pubblica, in generale, e presso i medici di base, gli specialisti ostetrici-ginecologi e i pediatri, in particolare
– l’istituzione, almeno a livello provinciale, di un Centro di Consulenza Genetica (non solo per la sordità)
– la crescita dell’attività di ricerca scientifica e tecnica sulle cause di sordità che, in buona parte, restano tuttora sconosciute.

A livello di diagnosi e terapia:
– miglioramento dei rapporti operatori – genitori
– necessità dell’attività di counseling alle famiglie
– istituzione della "Scuola" (Centro di riferimento) di formazione permanente dei genitori e collaborazione con le Associazioni di volontariato
– sulla protesizzazione ed i controlli medici periodici, un programma chiaro e puntuale gestito dai Centri di Audiofonologia.

A livello dell’integrazione scolastica:
– una precisa definizione dei rapporti fra organismi sanitari (USSL) e Scuola, per un intervento educativo puntuale e individualizzato.

A livello educativo – riabilitativo:
– una maggiore preparazione del personale di riabilitazione (corsi di studio unificati nei programmi e durata, e aggiornamenti periodici) e creazione di docenti specializzati in materia
– creazione di un centro per l’orientamento professionale e l’inserimento lavorativo, a livello istituzionale, che curi e segua tali attività.

I genitori devono essere sempre più considerati parte vitale del programma di recupero dell’audioleso. Con le loro azioni essi possono rinforzare e completare quelle dei professionisti. Con la loro inerzia essi possono invece ostacolare o annullare completamente il programma riabilitativo. E’ quindi verso i genitori che si dovrebbe maggiormente investire l’azione terapeutica. Educando la famiglia alcune ore alla settimana si educa il bambino per tutta la settimana.
I genitori contano molto sull’insieme degli operatori, in quanto sono in grado di fornire a questi ultimi ciò di cui essi ed il loro bambino hanno bisogno, per prepararlo alla vita autonoma da adulto.
Da qui emerge la necessità di istituire un Coordinamento Provinciale dei Servizi del Territorio, per concentrare gli sforzi umani e di risorse, ridurre i costi ed evitare forme di intervento disorganiche e disomogenee. Questo livello di coordinamento deve essere messo in condizioni di avere una sufficiente chiarezza sull’argomento, sia sotto il profilo medico sia sotto il profilo sociale, in modo che questi due momenti possano lavorare verso un comune obiettivo, sfruttando al meglio le poche risorse disponiibili.
Si ripropone, anche in questo ambito, una volta ancora la applicazione del principio della programmazione, come strumento insostituibile di prevenzione, degli obiettivi di coordinamento degli operatori, di ottimizzazione delle risorse e di valorizzazione dei risultati conseguiti, che sono tutti segni di una intelligenza sociale purtroppo ancora poco conosciuta e applicata nel nostro Paese.>

 

 

 

I risultati della ricerca, condotta negli anni 1984 – 1985, sono stati presentati in una conferenza pubblica presso l’Amministrazione Provinciale di Varese, il 24 giugo 1989.